Preoccuparsi o occuparsi: è questo il problema!
Preoccupazione è una parola che ultimamente risuona come un boato nelle nostre esperienze di vita: spiazza, confonde, agita.
Dunque, specialmente in questo periodo, mi sono chiesta:
Qual è la differenza tra preoccuparsi ed occuparsi?
La parola preoccupazione sembra potersi accostare a sinonimi come ansia, panico, agitazione, ossessione, impulsività, agito compulsivo, confusione, caos.
Ma perché?
La preoccupazione, spesso, ci fa fuggire dalla realtà, ci fa vivere esclusivamente nel nostro mondo interno, trainati inconsciamente da paure, fobie, ossessioni.
Perché quando ci preoccupiamo, come ci suggerisce spesso la parola, ci occupiamo delle cose “prima”. E spesso in questo prima si insinuano le nostre paure, fobie, ansie che ci dicono: “e se fosse così” “e se succedesse proprio quello di cui sei spaventato” “e se accadesse proprio a te”. In questo mondo pieno di se e di ma, in questo mondo possibile che ci immaginiamo, diventa facile lasciarsi trascinare dall’emozione, diventare preda di una parte di noi spaventata . Quella stessa parte che si illude che preoccupandosi stia facendo qualcosa per salvarsi dalla corrente e, invece, non si accorge che ci si sta agitando rimanendo fissi nello stesso punto, come un criceto nella ruota.
Generalmente ci preoccupiamo perché pensiamo che qualcosa non stia andando come vorremo, come ci aspettavamo, come desideravamo: ossia, spesso, ci preoccupiamo perché qualcosa elude il nostro controllo. E quando qualcosa esce fuori dal nostro “controllo”, il rischio è di perderlo totalmente: in quel caso diventiamo impulsivi, urliamo, piangiamo, svaligiamo supermercati.
Questo perché quando ci illudiamo di avere il controllo su tutto e qualcosa ci mette di fronte alla nostra finitezza, ci ritroviamo a fare i conti, consapevolmente o meno, con la verità che la vita è, inevitabilmente, più grande di noi.
Rendersi, realmente consapevoli di questo, però, non significa lasciarsi andare ad un fatalismo passivo, al cinismo e alla sfiducia.
Credo che, invece, abbia proprio a che fare con l’occuparsi della realtà, abbia a che fare con la disillusione e con la forza che da questa ne scaturire.
Poiché consapevolizzare i propri limiti vuol dire anche conoscere le proprie risorse.
E allora occuparsi sembra spesso, invece, potersi accostare a sinonimi come stare, accogliere, prendersi cura, ascoltare, contenere, aprire una riflessione, essere consapevoli, avere paura (senza rimanerne preda o negarla), forse infine il sinonimo più grande è amore.
Occuparsi, infatti, (di un problema, di qualcuno) diventa un atto di coraggio, in cui accolgo ciò che provo, ciò che succede, senza negarlo né essere agiti da esso. Significa compiere una scelta in cui possiamo muoverci consapevolmente, comprendendo i confini, limiti e risorse. Non è facile e, forse, non è sempre possibile. Ma quando possiamo consapevolmente affrontare una realtà disillusa, una realtà che non è totalmente sotto il nostro controllo, ma di cui possiamo essere padroni, custodi, allora potremo stare in quello che viviamo. E stare non vuol dire necessariamente essere sereni, ma credo che abbia a che fare di più con il contenere.
Contenere mi fa spesso venire in mente gli argini e il letto di un fiume: anche se il fiume non è necessariamente tranquillo, questi permettono all’acqua di non esondare, di non dilagare ovunque creando caos e travolgendo tutto. La preoccupazione e l’ansia, invece, portano spesso proprio a questo.
La preoccupazione ci fa concentrare su un punto fisso, l’occupazione ci fa accogliere tutto quello che sta accadendo contenendolo.
“La concentrazione separa, taglia, esclude, si focalizza su un punto, escludendo tutto il resto. Il raccoglimento è vasto, accogliente, neutrale, assapora tutto, lascia andare tutto.
Tutto quello che sentiamo, infatti, è legittimo sentirlo, è vero e contiene grandi possibilità di recupero e fertilità. Nello stesso tempo sappiamo che essere rapiti dai pensieri, sommersi dalle emozioni, agiti dagli impulsi porta a confusione e nuova sofferenza. Sappiamo che se è legittimo sentire quel che sentiamo non è semplicemente legittimo esprimerlo o agirlo, ma sentire e conoscere sono modi per discernere meglio.(C.L.Candiani)”