Il corpo racconta
Lo scorso weekend, dal 17 al 19 Maggio, si è svolto a Milano il congresso dell’ANEB intitolato “il corpo come mandala dell’universo” in cui i vari relatori hanno declinato la visione del corpo in psicoterapia, tenendo conto dell’aspetto biologico, psichico ed ecologico del sistema: in questo senso emerge la visione del sintomo in una connessione complessa tra corpo/psiche/natura. Una visione che sposo da tempo rispetto alla mia formazione in Psicosomatica Gestalt-Analitica.
«L’unità psicosomatica non può risolversi in un paradossale dualismo di cause psichiche che producono effetti somatici. E’ piuttosto da intendersi come la condizione strutturalmente unitaria di un organismo che attraversa gli eventi con coerenza di implicazioni, sia psichiche sia somatiche, di un personale ‘Unus Mundus’ (frase latina per “un mondo”, ossia una realtà unitaria di base da cui tutto emerge e per cui tutto ritorna) da cui scaturiscono accadimenti unitari, dalle sotterranee affinità spirituali e materiali» (Claudio Widmann, “Sincronicità e coincidenze significative”, Ed. Magi)
Dunque in quest’ottica complessa non possiamo che porre attenzione all’interezza della persona e a non ridurre il corpo a qual-cosa, ma ad un aspetto di Sé che ci chiede ascolto, attenzione, che va ben oltre la materialità: infatti, in una visione Junghiana, possiamo immaginare il nostro corpo come un quadro, come un sogno che incarna delle nostre simbologie specifiche.
Ed è per questo che di seguito vi riporto un’interessante riflessione posta da una delle relatrici, Maria Pusceddu,( biologa, psicologa e analista Junghiana), che proprio grazie al suo percorso formativo ed esperienziale declina questa visione biologico simbolica in un modo davvero stimolante ed interessante, in uno dei suoi libri intitolato
“Il corpo racconta”:
“L’io per difendere l’equilibrio psichico dell’individuo si serve di meccanismi di difesa: ci sono meccanismi di difesa più evoluti, ossia che utilizzano modalità più vicine al funzionamento di una psiche adulta, e meccanismi più arcaici (o infantili), legati a fasi evolutive precedenti alla nostra, che si connotano quindi come regressioni.
La conversione e la somatizzazione (disturbi somatoformi, DSM IV) sono meccanismi di difesa meno evoluti; questi infatti, bypassando il filtro cognitivo ( che permetterebbe una elaborazione cosciente dell’evento) e quello emotivo ( che consentirebbe di percepire l’emozione legata ad esso) scaricano il conflitto e la relativa quota di energia direttamente sul corpo, come fanno i bambini, evitando di viverla a livello psichico e di poterla verbalizzare. Per questo il paziente cosiddetto psicosomatico “puro” viene da alcuni autori definito alexitimico, ovvero privo di parole per esprimere le emozioni. In realtà le cose non stanno proprio così; basta farlo parlare dei suoi disturbi per cogliere tutta la pregnanza di analogie che inconsciamente esprime.
Sul piano psicologico potremo dire che nel paziente si sta combattendo una guerra tra diverse parti di Sè, ovvero è in corso il tentativo di eliminare, disconoscendoli, determinati aspetti del proprio modo di essere. Ma se non c’è al momento la capacità di elaborare a livello psichico più evoluto il problema, il conflitto cade nell’inconscio, si situa ad un livello profondo e viene espresso tramite un canale di comunicazione più arcaico: quello pre-verbale del soma.
Questa via è destinata al fallimento, rappresentato purtroppo dalla patologia.
La malattia, che ha bisogno di essere accolta e letta nel suo significato simbolico, si configura come campanello di allarme ed ultimo stadio di un disagio profondo che necessita di essere ascoltato ed affrontato anche su un altro piano, ovvero quello psichico, affinché il corpo sia sollevato dal ruolo che non gli compete.
Come non possiamo pensare che il nostro Sè biologico si difenda senza anticorpi, così non possiamo certo pensare di delegare al sistema immunitario la difesa delle nostre parti psichiche.