Il Senso del Coraggio
Riflettere su questo termine, sul suo significato vuol dire, indubbiamente, riflettere su di Sé, sulle proprie scelte e sentire ciò che permettiamo a noi stessi.
Spesso meditando sulla mia esperienza, su ciò che mi portano i pazienti, sulle parole che mi dicono i miei amici, i miei conoscenti, sento emergere un conflitto, qualcosa che stona: il coraggio viene vissuto come un atto “violento”, come lancio nel vuoto.
Ci diciamo che il coraggio è non avere paura.
Ma quand’è che ci siamo detti che non bisogna avere paura? Come mai la paura non ha diritto di esistere? Cos’è che ci spaventa così tanto della paura?
Penso ad esperienze che banalmente possono essere capitate a chiunque: come quella di iniziare ad attraversare la strada sovrappensiero, oppure quella di toccare i manici della pentola a mani nude.
Cosa accade?
Nel primo caso una macchina che preme il clacson ci fa risvegliare, il nostro corpo diventa teso, i battiti cardiaci aumentano e subito la nostra attenzione si dirige verso la strada; nel secondo caso, possiamo scottarci lievemente, sentire il corpo teso, il dolore alle mani e subito decidiamo di trovare delle presine che possano evitare una successiva ustione.
In entrambi i casi come reagisce il nostro corpo?
Ci manda un segnale di allerta, un messaggio di avvertimento che ci dice “attenzione, qui c’è un pericolo!”.
E’ questa la paura: un segnale, un monito che, fortunatamente, ci indica che in quel momento c’è un pericolo per sé.
Vi immaginate cosa potrebbe accadere se quel segnale non ci fosse?
E allora nella nostra vita la paura emerge quando c’è un pericolo e, in qualche modo, ci protegge da qualcosa che, sulla base della nostra esperienza, abbiamo sentito come spaventoso, pericoloso, troppo rischioso per noi. Allora attviamo delle strategie che sono utili in quel momento a sopravvivere a quel pericolo. E’ come se prendessimo un’arma e un’armatura per andare in battaglia: senza saremmo morti.
Ma cosa succede quando quella battaglia finisce, quando c’è una tregua oppure scopriamo che abbiamo bisogno di altre armi?
Talvolta dimentichiamo di togliere l’armatura e di riporre le armi, perché con quelle ci siamo sentite al sicuro, perché ci hanno protetto dal pericolo.
La paura ci pone di fronte ai nostri limiti e alcuni dei nostri limiti possono essere trasformati, non eliminati, comprendendo il senso che hanno avuto per noi, sentendo che forse, la battaglia ci ha lasciato qualche ferita e che per curarla dobbiamo riporre le armi, perché siamo sopravvissuti, abbiamo nuove risorse e possiamo trovare nuove strategie.
E allora ecco il coraggio. L’etimologia della parola proviene dal latino Cor/cordis (cuore) habere (avere).
Coraggio significa avere un cuore, sentirlo e seguirlo: poiché è il cuore che ci fa sentire il senso di quello che abbiamo fatto, di quello che ci è accaduto. Ci fa sentire anche il dolore delle ferite rimaste e, solo sentendole, possiamo cercare un modo per guarirle, altrimenti continueranno a sanguinare senza sosta. E non parliamo di un’azione improvvisa, ma di un’attività lenta perché ogni ferita ha una sua profondità e una sua cura. Il coraggio ci permette di avere il cuore aperto al dolore, ci permette di sopportare la vista delle cose pericolose e spaventose che ci sono state nella nostra vita, ma ci permette di capire anche quanto abbiamo combattuto e che, in fondo se siamo qui, abbiamo trovato molte risorse in noi.
Il coraggio ci permette di guardare la paura, l’insegnamento che ci ha dato, le difese, le armi, le risorse che ci ha fatto scoprire e dirle: Grazie.
Solo attraverso la consapevolezza, solo sentendo il cuore aperto possiamo scegliere di assumerci un rischio: quello di trovare Altre strategie, più funzionali per Sè in quel momento.
Perché eliminare le paure, i limiti, non vuol dire essere coraggiosi, ma incoscienti.